Questa graphic novel è un'opera da leggere poco alla volta, per dare valore ad ogni storia che contiene, per non trascurarne nemmeno una. Jérome Ruillier si è ispirato al testo "Mémoires d'immigrés" di Yasmina Benguigui, una regista francese di origini algerine che ha anche ricoperto una carica ministeriale.
Si tratta del primo volume della collana "altriarabi migrante" della casa editrice Il Sirente, che si propone di raccontare gli europei di origine araba -un punto di vista assolutamente necessario.
Titolo: Se ti chiami Mohamed
Autore: Jérome Ruillier
Anno della prima edizione: 2015
Casa editrice: Il Sirente
Pagine: 283
"Se ti chiami Mohamed" ci racconta le storie dei padri, delle madri e dei figli. Sono i primi immigrati in terra francese e vengono dall'Algeria, dal Marocco, per lavorare nelle fabbriche della Francia, per abitare in delle baraccopoli, in dei garage, in condizioni di estrema difficoltà, ben diverse dal paradiso europeo che si aspettavano, scintillante e colmo di ricchezza. Ci sono i padri e le madri, dicevamo, e poi ci sono i figli: le seconde generazioni, oggi le terze, quelli che si sentono ancora stranieri, ancora cittadini a metà: "Noi immigrati, abbiamo un piede di qua e l'altro di là", per citare una delle voci che questo libro contiene.
Si potrebbe riassumere così, questa graphic novel che ci ricorda in qualche modo Maus nella scelta di animalizzare i personaggi disegnati. Credo però che ognuna di queste storie abbia il diritto di essere citata, che ognuna di queste storie meriti di essere conosciuta, per combattere la superficialità che ci fa attribuire caratteristiche negative alla maniera lombrosiana ai volti più scuri, ai tratti arabi che ci camminano accanto, che ha fatto sentire degli anonimi Mohamed tanti uomini dai nomi, dalle personalità e dalle storie differenti.
Ci sono i padri, innanzitutto. Khémais, per primo: operaio alla catena di montaggio fino alla chiusura della Renault, nel 1992. Per la Francia ha lavorato con orgoglio, e porta ancora nel cuore il disegno dell'Ile Seguin. Abdel è stato un minatore, che tra tutte le estenuanti fatiche ed un grave infortunio ha lottato per i propri diritti e si è opposto al rimpatrio. Ahmed è giunto in Francia da ragazzino e vi ha cresciuto i suoi figli, esigendo il massimo; uno di loro, Djamel, è addirittura campione olimpico. Hamou e Mahmud hanno trascorso la gioventù e l'età adulta negli alloggi per celibi della Sonacotra, azienda che forniva luoghi ad uso abitativo ai lavoratori algerini; Mahmud ha offerto alla Francia anche la propria salute, e vi attende la morte con i parenti in Algeria che lo conoscono a malapena.
Poi ci sono le madri, donne che hanno sofferto quanto i propri mariti ed altrettanto -se non di più- hanno lottato per rivendicare i propri diritti. Apre il capitolo Yamina, obbligata a lasciare la scuola che tanto amava per un matrimonio con un uomo violento, dal quale riuscirà a divorziare solo 20 anni più tardi. Raggiunta questa conquista condivide la sua forza con donne arabe analfabete in Francia alle quali si impegna ad insegnare a leggere. Zorah gestisce un bar, ha perso due figli, affrontato tanti dispiaceri, mentre Fatma ha salvato due volte la vita al marito e Djamila ha perso i suoi figli ed il coniuge, eppure amerà la Francia fino al suo ultimo respiro.
Per ultimi ci sono i figli, le figlie. Farid, che ha atteso per diciott'anni un appartamento dove vivere al posto di quella baracca e troppe volte si è vergognato di sua madre. Mounsi ha vissuto il 17 ottobre, quando gli algerini in Francia marciarono per l'indipendenza del proprio paese d'origine ed i loro cadaveri finirono a decine nella Senna. Wahib è un educatore che lavora per l'integrazione degli adolescenti francesi di origine maghrebina ed ha sposato una donna francese che gli ha dato tre figli; suo padre ha sognato per una vita il ritorno in Algeria, ma a 65 anni ha scoperto di voler rimanere. Naima ha scelto di indossare l'hijab contro il volere del proprio padre che la voleva più integrata, e di dedicare la propria vita a Dio -una perfetta mescolanza di fede musulmana e pratiche delle suore. Myriem da ragazzina ha scritto una poesia al governo francese contro il contributo per il rientro, ed oggi è un avvocato; Warda ha contribuito all'organizzazione della Marcia dei Beurs negli anni del governo Mitterrand.
Questa recensione, mi rendo conto, è tutt'altro che convenzionale. Volevo però farvi sentire le voci della graphic novel di Ruillier, che mi hanno fatto conoscere aspetti della storia francese che non conoscevo affatto (mi pare anche di non averli mai studiati a scuola) ed immedesimare nelle loro vite fatte di piccole e grandi cose. Sono sicura che faranno lo stesso con voi!
Titolo: Se ti chiami Mohamed
Autore: Jérome Ruillier
Anno della prima edizione: 2015
Casa editrice: Il Sirente
Pagine: 283
"Se ti chiami Mohamed" ci racconta le storie dei padri, delle madri e dei figli. Sono i primi immigrati in terra francese e vengono dall'Algeria, dal Marocco, per lavorare nelle fabbriche della Francia, per abitare in delle baraccopoli, in dei garage, in condizioni di estrema difficoltà, ben diverse dal paradiso europeo che si aspettavano, scintillante e colmo di ricchezza. Ci sono i padri e le madri, dicevamo, e poi ci sono i figli: le seconde generazioni, oggi le terze, quelli che si sentono ancora stranieri, ancora cittadini a metà: "Noi immigrati, abbiamo un piede di qua e l'altro di là", per citare una delle voci che questo libro contiene.
"Servono sempre capri espiatori... Per risvegliare quel che c'è di peggio i noi." |
Si potrebbe riassumere così, questa graphic novel che ci ricorda in qualche modo Maus nella scelta di animalizzare i personaggi disegnati. Credo però che ognuna di queste storie abbia il diritto di essere citata, che ognuna di queste storie meriti di essere conosciuta, per combattere la superficialità che ci fa attribuire caratteristiche negative alla maniera lombrosiana ai volti più scuri, ai tratti arabi che ci camminano accanto, che ha fatto sentire degli anonimi Mohamed tanti uomini dai nomi, dalle personalità e dalle storie differenti.
Ci sono i padri, innanzitutto. Khémais, per primo: operaio alla catena di montaggio fino alla chiusura della Renault, nel 1992. Per la Francia ha lavorato con orgoglio, e porta ancora nel cuore il disegno dell'Ile Seguin. Abdel è stato un minatore, che tra tutte le estenuanti fatiche ed un grave infortunio ha lottato per i propri diritti e si è opposto al rimpatrio. Ahmed è giunto in Francia da ragazzino e vi ha cresciuto i suoi figli, esigendo il massimo; uno di loro, Djamel, è addirittura campione olimpico. Hamou e Mahmud hanno trascorso la gioventù e l'età adulta negli alloggi per celibi della Sonacotra, azienda che forniva luoghi ad uso abitativo ai lavoratori algerini; Mahmud ha offerto alla Francia anche la propria salute, e vi attende la morte con i parenti in Algeria che lo conoscono a malapena.
Poi ci sono le madri, donne che hanno sofferto quanto i propri mariti ed altrettanto -se non di più- hanno lottato per rivendicare i propri diritti. Apre il capitolo Yamina, obbligata a lasciare la scuola che tanto amava per un matrimonio con un uomo violento, dal quale riuscirà a divorziare solo 20 anni più tardi. Raggiunta questa conquista condivide la sua forza con donne arabe analfabete in Francia alle quali si impegna ad insegnare a leggere. Zorah gestisce un bar, ha perso due figli, affrontato tanti dispiaceri, mentre Fatma ha salvato due volte la vita al marito e Djamila ha perso i suoi figli ed il coniuge, eppure amerà la Francia fino al suo ultimo respiro.
Per ultimi ci sono i figli, le figlie. Farid, che ha atteso per diciott'anni un appartamento dove vivere al posto di quella baracca e troppe volte si è vergognato di sua madre. Mounsi ha vissuto il 17 ottobre, quando gli algerini in Francia marciarono per l'indipendenza del proprio paese d'origine ed i loro cadaveri finirono a decine nella Senna. Wahib è un educatore che lavora per l'integrazione degli adolescenti francesi di origine maghrebina ed ha sposato una donna francese che gli ha dato tre figli; suo padre ha sognato per una vita il ritorno in Algeria, ma a 65 anni ha scoperto di voler rimanere. Naima ha scelto di indossare l'hijab contro il volere del proprio padre che la voleva più integrata, e di dedicare la propria vita a Dio -una perfetta mescolanza di fede musulmana e pratiche delle suore. Myriem da ragazzina ha scritto una poesia al governo francese contro il contributo per il rientro, ed oggi è un avvocato; Warda ha contribuito all'organizzazione della Marcia dei Beurs negli anni del governo Mitterrand.
Questa recensione, mi rendo conto, è tutt'altro che convenzionale. Volevo però farvi sentire le voci della graphic novel di Ruillier, che mi hanno fatto conoscere aspetti della storia francese che non conoscevo affatto (mi pare anche di non averli mai studiati a scuola) ed immedesimare nelle loro vite fatte di piccole e grandi cose. Sono sicura che faranno lo stesso con voi!
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