Come ormai avrete capito, la letteratura araba mi affascina molto, in particolare quella egiziana di cui trovate qui tutti gli articoli -più che altro perché mi pare più semplice da reperire, non leggendo io l’arabo in lingua originale. Di Nagib Mahfouz avevo già letto e apprezzato alcune opere minori (qui trovate l’articolo dedicato a Canto di nozze) ed ero interessata a leggerne una delle più antiche e più conosciute.
Autore: Nagib Mahfouz
Anno della prima edizione: 1947
Titolo originale: Zoqaq al-Midaq
Casa editrice: Feltrinelli
Traduttore: Paolo Branca
Pagine: 254
LA STORIA
Vicolo del Mortaio è una viuzza del Cairo, animata da botteghe e caffè, dove vivono i personaggi che popolano questo libro. Ci sono giovani e meno giovani, ragazze attraenti, donne che cercano marito e altre che organizzano matrimoni; ci sono uomini dalla condotta riprovevole, dediti a mestieri non convenzionali. Il tutto avviene sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale che sta per finire.
COSA NE PENSO
Nagib Mahfouz è l’unico autore di lingua araba ad aver vinto il premio Nobel per la letteratura: lo vinse nel 1988, quando “Vicolo del mortaio” aveva visto la luce da molto. Pubblicato infatti nel 1947, questo romanzo corale è ambientato nel quartiere di Khan-el-Khalili, il principale suq (mercato arabo) della parte antica della capitale egiziana, sul finire della Seconda Guerra Mondiale.
L’imminente sconfitta di Hitler non viene accolta con la gioia che la accompagna in Europa, perché diversi cittadini del Cairo si sono arruolati per denaro nell’esercito inglese e speravano che questa opportunità di guadagno sarebbe durata per lungo tempo – il monarca che regnava all’epoca, Re Faruq, aveva infatti concesso al Regno Unito di utilizzare l’Egitto come base militare nel corso del conflitto mondiale.
Liberati dalla vista di quel cadavere di Kamil e vieni nell’esercito inglese. É un pozzo senza fondo, il tesoro del gran santo! Questa guerra non è una sventura, come dicono gli ignoranti. É una benedizione del Signore per toglierci da un abisso di miseria e di indigenza. Ben vengano le incursioni aeree, visto che ci bombardano d’oro. Non ti ho già detto di entrare nell’esercito? Ti ripeto che è il momento buono. Se l’Italia è stata sconfitta, la Germania resiste ancora, e poi c’è il Giappone… la guerra durerà vent’anni.
Vicolo del Mortaio è evidentemente una zona povera della città: vi abitano persone modeste, che tirano a campare e spesso non lo fanno con i mezzi più leciti. C’è chi si improvvisa dentista, ma si procura le dentiere sottraendole ai cadaveri da poco sepolti; chi compie atti di violenza per mutilare i mendicanti su loro richiesta, in modo da renderli veramente disabili. C’è chi quel Vicolo non lo sopporta, e non vede l’ora di cambiar vita, di andar via; e c’è chi invece tutto sommato ci è affezionato, ma non ha il coraggio di ammetterlo ad alta voce.
“Non è necessario attendere la fine della guerra. Saremo gli abitanti più felici del Vicolo”. Lei aggrottò la fronte ed esclamò con disgusto: “Il Vicolo del Mortaio.” Al-Helwu la guardò imbarazzato, non osava prendere le difese di quel luogo che pure amava e che preferiva ad ogni altro al mondo.
Mahfouz costruisce un affresco di un luogo e dei suoi abitanti; il personaggio che più spicca tra di essi, che è stato meglio caratterizzato, è un personaggio femminile: quello di Hamida. Hamida è una giovane donna attraente, orfana, cresciuta da una donna che l’ha trattata come una figlia e che di mestiere organizza matrimoni per la gente della zona. Hamida però non vuole accontentarsi del ragazzo proprietario della bottega di barbiere, sogna un’esistenza di abiti eleganti, di appartamenti con la luce elettrica e l’acqua corrente; così sarà logico farsi sedurre dalle facili ricchezze, che però non sempre conducono alla felicità.
“Perché disprezzi questa vita?” “Ma è davvero vita? In questo vicolo ci sono solo morti, se ci resterai non avrai neppure bisogno di esser seppellito e che Dio abbia pietà di te”.
La lingua di Mahfouz è spesso ironica, tagliente, non risparmia un giudizio spietato nei dialoghi in cui si discute di un personaggio o dell’altro; sembra dirci che il Vicolo del Mortaio non ha compassione per nessuno, che per nessuno dei suoi abitanti ci sarà salvezza in questa vita o nella prossima.
Ma come tutte le altre anche questa notizia passò, per l’ineluttabile disposizione del Vicolo all’oblio e all’indifferenza. Al mattino, se era il caso, si piangeva, ma alla sera già si sghignazzava tra le porte e le finestre che si aprivano e si chiudevano con un medesimo cigòlio.
Io l’ho trovato un romanzo di non semplicissima lettura, specialmente nella sua prima parte in cui ho faticato ad ingranare e ad entrare in empatia con gli abitanti del Vicolo; il ritmo accelera però man mano che la vicenda di Hamida e del suo innamorato Abbas si sviluppa, e anche il coinvolgimento del lettore aumenta.
“Vicolo del Mortaio” è senz’altro un ottimo esempio della tradizione letteraria del realismo arabo, e rappresenta un Egitto che oggi non esiste più in questa sua forma, ma che è facile immaginarsi grazie alle descrizioni dell’autore. Lo consiglio a tutti coloro che sono interessati alla storia della Seconda Guerra Mondiale, poiché il fronte al di là del Mediterraneo è un’area che raramente viene presa in considerazione; se poi cercate un romanzo a più voci, che vi tenga compagnia senza togliervi il sonno, “Vicolo del Mortaio” fa certamente al caso vostro.
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