lunedì 31 agosto 2020

I testamenti

Impossibile leggere “I testamenti” senza aver letto precedentemente (e magari riletto a distanza ravvicinata) “Il racconto dell’ancella”: questo non è un romanzo autonomo, che può essere letto e apprezzato da solo. Ne “I testamenti” infatti torniamo a Gilead, stato teocratico che viene contestualizzato e approfondito nel seguito di recente pubblicato da Margaret Atwood.



Titolo: I testamenti
Autrice: Margaret Atwood
Anno della prima edizione: 2019
Titolo originale: The Testaments
Casa editrice: Ponte alle Grazie
Traduttore: Guido Calza
Pagine: 502




Anche parlarvi di questo romanzo senza parlarvi del precedente è davvero difficile, perché il contenuto dei due è strettamente connesso. Le vicende de “I testamenti” si svolgono però una quindicina di anni più tardi, e la protagonista della quale eravamo tanto curiosi di conoscere il destino non comparirà tra queste pagine: di June-Difred cogliamo qualche notizia, ma la donna non partecipa a ciò che avviene ne “I testamenti”. 

Un altro intreccio molto interessante è quello tra “I testamenti” e la serie televisiva “The Handmaid’s Tale”, le cui tre stagioni erano già andate in onda (con la partecipazione di Margaret Atwood alla sceneggiatura) prima che questo romanzo venisse pubblicato. In qualche modo le storie sono collegate, o meglio: la prima stagione della serie televisiva è la trasposizione del romanzo “Il racconto dell’ancella”, le cui vicende proseguono nella seconda e terza stagione -e, si spera, nella quarta in arrivo. “I testamenti” è ambientato successivamente, e quindi mi aspetto che ad un certo punto la serie televisiva si ricongiunga in qualche modo con quello che è avvenuto sulla carta -nulla sembra impedirlo, al momento. 


Tre sono i punti di vista ne “I testamenti”, tre i narratori in prima persona all’interno di questo romanzo. Anche qui la Atwood ricorre all’artificio del manoscritto ritrovato, o meglio delle testimonianze raccolte ed esposte a distanza di tempo in un convegno sulla teocrazia di Gilead, com’era stato ne “Il racconto dell’ancella” per i nastri contenente la voce di Difred.
I punti di vista sono di un personaggio ben noto dall’opera precedente, una cattiva -uno dei personaggi, devo ammetterlo, che più mi ha nauseata in tutta la mia vita di lettrice: Zia Lydia. Ne “I testamenti” approfondiamo il suo passato, la vediamo diventare l’aguzzina che abbiamo visto maltrattare le ancelle; certo impariamo a conoscerla, ma non per questo proviamo per lei un briciolo di simpatia o compassione. La costruzione del personaggio è comunque davvero interessante e ben fatta; aggiunge ad una figura già molto potente nel precedente romanzo una tridimensionalità che la rende ancora più degna di nota.
Nella mia famiglia nessuno aveva mai frequentato l’università, e mi avevano disprezzata per esserci entrata grazie alle borse di studio e ai lavoretti serali. È una cosa che ti tempra. Diventi caparbia. Non avevo nessuna intenzione di farmi eliminare, se appena fossi riuscita a evitarlo.
Gli altri due punti di vista sono quelli di due adolescenti: Agnes, cresciuta a Gilead, e Daisy, cresciuta in Canada. La loro identità non è sorprendente per chi ha guardato le stagioni della serie TV “The Handmaid’s Tale”: lo spettatore collegherà immediatamente le loro voci a quelle di due personaggi che hanno già fatto la loro comparsa (anche se ad un diverso punto delle loro vite). 


Le testimonianze di Agnes e Daisy tuttavia non sono convincenti come il punto di vista di Zia Lydia: le loro voci sono immature, e questo potrebbe imputarsi anche all’età, ma soprattutto non sorprendono, e coinvolgono il lettore fino ad un certo punto. Insieme a loro, relegata ad una posizione raccontata in terza persona, c’è però Becka: e lei è a mio parere l’adolescente più interessante, quella che comprende meglio il mondo che la circonda, quella attraverso i cui occhi possiamo metterlo in discussione e analizzarlo meglio.
«Dio non è come raccontano» rispose. Aggiunse che si poteva credere in Gilead o credere in Dio, ma non in entrambi.
Devo ammettere che la trama de “I testamenti” non è stata per me appassionante quanto avrei sperato: c’è parecchia azione, questo è vero, e ci sono trame e complotti, ma non riescono a tenere il lettore col fiato sospeso. L’aspetto vincente dell’opera non è tanto l’avventura che si propone di raccontare quanto l’approfondimento e l’espansione della repubblica di Gilead, che diventa così sempre meglio costruita e più concreta -e credo che sia questa la ragione che ha spinto la maggior parte degli appassionati a correre in libreria a procurarsi il romanzo appena uscito.
Gilead ha un problema di lunga data, mio lettore: per essere il regno di Dio sulla Terra, ha un tasso di emigrazione imbarazzante. Il lento deflusso delle Ancelle, per esempio: ne sono scappate troppe. Come ha rivelato l’analisi del Comandante Judd sulle fuggitive, non facciamo in tempo a scoprire e bloccare una via di fuga che subito se ne apre un’altra.

Nel complesso quindi è un libro che vi consiglio come lettura complementare al precedente testo della Atwood e alla visione della serie TV: come opera singola credo che non possa avere vita propria, dipendente com’è dal volume che lo precede. Se dunque siete, come me, in trepidante attesa della quarta stagione… ingannare il tempo leggendo “I testamenti” potrebbe essere un’ottima idea! 

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