lunedì 18 gennaio 2021

Shining

L’ambizioso progetto di lettura dell’opera omnia del Re dell’orrore continua, e con questo romanzo ho quasi terminato la produzione degli anni ‘70: stiamo parlando di Shining, terzo titolo in ordine di pubblicazione.


Titolo: Shining
Autore: Stephen King
Anno della prima edizione: 1977
Titolo originale: The Shining
Casa editrice: Bompiani
Traduttrice: Adriana Dell'Orto
Pagine: 429


LA STORIA

Jack Torrance è un aspirante scrittore poco più che trentenne, ma ha alle spalle una lista di fallimenti piuttosto lunga: primi tra tutti, il licenziamento dall’università dove lavorava per aver aggredito uno studente, e un problema di dipendenza dall’alcol che continua ad opprimerlo. Non può dunque rifiutare l’incarico di guardiano invernale all’Overlook Hotel, sulle montagne del Colorado, quando gli viene offerto: e così si trascina dietro la moglie Wendy e il figlioletto Danny, che però ha un dono speciale a cui l’albergo non saprà resistere… 

COSA NE PENSO

Nell’opera autobiografica “On Writing”, Stephen King afferma che scrivendo “Shining”, nel 1975, aveva scritto di se stesso, pur senza accorgersene: e il momento in cui se ne accorse fu quello in cui si rese conto di essere diventato dipendente dall’alcol. C'è dunque molto di Stephen King nel personaggio di Jack Torrance, mentre io, influenzata dall’immaginario creato da Jack Nicholson nello "Shining" diretto da Stanley Kubrick (che King ha sempre dichiarato di non apprezzare, e ora capisco perché) avevo nella mente una figura limitata ad un pazzo maniaco e pericoloso, un marito violento e di un padre degenere. Ecco, questo in parte si può dire di Jack, ma non è Jack ad essere la causa: è la sua debolezza, la sua dipendenza che lo rende facile preda dell’Overlook e delle forze che vi abitano all’interno, e la sua fragilità viene da lontano, da quando anche lui era un bambino come Danny, figlio di un padre alcolista e violento. 

Jack non credeva che il vecchio avesse mai portato al parco i suoi fratelli. Jack era stato il suo prediletto, ma ciò non toglie che anche lui si fosse beccato la sua dose di botte, quando il vecchio era ubriaco, il che accadeva tutt'altro che di rado. Ma Jack l'aveva amato finché ne era stato capace, un bel po' dopo che il resto della famiglia non poteva far altro che odiarlo e temerlo.

Danny è indubbiamente il buono di questa storia: un innocente bambino di non ancora sei anni, dotato di un potere che non sa controllare e gli permette di percepire i pensieri di coloro che lo circondano, e non solo. Questo espone Danny a pericoli inimmaginabili per qualunque coetaneo, soprattutto all’Overlook. Non tutti credono a Danny, nonostante le evidenze: i suoi stessi genitori non si arrendono all’evidenza delle sue capacità e cercano di trovare loro spiegazioni razionali. Il potere di Danny, il suo “shining” (nella mia copia con traduzione risalente ai tardi anni ‘70 in italiano viene definita “aura”) è estremamente stimolante ed immaginifico per il lettore -ed ha avuto seguito, a distanza di oltre trent’anni, nel romanzo “Doctor Sleep”. 

“Shining” è un romanzo tuttora godibilissimo e pieno di tensione; l’orrore c’è, ma solo in pochi capitoli è strettamente sovrannaturale. Molto più spesso sono i demoni dell'alcolismo di cui Jack è preda, la sua istintiva aggressività, la minaccia che egli costituisce per moglie e figlio che ci terrorizzano, fin troppo reali e contemporanei come sono. 

Non era solo su Danny che l'Overlook agiva in maniera nefasta. Agiva anche su di lui. Non era Danny, l'anello più debole della catena: era lui. Era lui quello vulnerabile, quello che avrebbe potuto essere piegato e distorto fino a quando qualcosa si sarebbe rotto.

Figli del suo tempo ci sono un paio di elementi legati all’appartenenza etnica di un personaggio, Dick Halloran -che è tra l’altro il mio preferito in tutto il romanzo. Halloran è il cuoco dell’Overlook, e Danny lo incontra il giorno del loro arrivo, quando Halloran sta lasciando l’albergo: i due condividono il potere dell’aura, nonostante quello di Danny sia di gran lunga superiore. Per via dell’età e dell’esperienza di Halloran l’uomo diventa però il punto di riferimento di Danny, con un epilogo che è stato in grado di farmi versare più di una lacrima di pura tenerezza. 

“Danny, a livello inconscio, fa ciò che i cosiddetti mistici e lettori del pensiero fanno in maniera del tutto cinica e cosciente. Proprio per questo lo ammiro. Se la vita non lo costringerà a ritirare le antenne, credo che diventerà un uomo di prim'ordine."


Alcune affermazioni legate proprio ad Halloran sono gli unici segni di invecchiamento che ho riscontrato all’interno di "Shining": la “stazione negra di Miami” parlando di trasmissioni radiofoniche, la “negritudine” del personaggio, terminologia che oggi non sarebbe considerata di certo appropriata. Ciò non toglie che la costruzione di Halloran sia tutt’altro che dispregiativa, anzi King lo rappresenta come una sorta di cavaliere senza macchia (ma non senza paura) -e lo stesso titolo al quale aveva pensato, “Shine”, fu modificato a causa della connotazione razzista che poteva assumere.

Era venuto a un accomodamento con la sua negritudine, un felice modus vivendi. Aveva passato la sessantina, e grazie a Dio se la cavava ancora decentemente. E adesso voleva mettere a repentaglio la fine di tutto questo, la fine sua, per tre bianchi che non conosceva nemmeno?

Ho amato "Shining", per la sua straordinaria capacità di tenere il lettore incollato alle pagine e di farlo sentire riga dopo riga sempre più immerso negli orrori dell'Overlook Hotel. Ci si sentirà inseguiti dagli animali scolpiti nelle siepi, circondati da individui mascherati, oppressi da una caldaia in ebollizione pronta ad esplodere: 6235555555555552366666666666e come nelle migliori opere del Re, non si potrà tirare il fiato finché non sarà finita. Non posso dunque fare altro che consigliarvi "Shining", che a mio parere potrebbe anche essere un'ottima scelta per iniziare a leggere Stephen King e innamorarvi delle sue storie! 

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