Leggere di una città dove hai vissuto tocca sempre profonde del cuore, ed è con emozione che ho aperto "Voci del verbo andare"; fino all'ultima pagina non mi ha mai delusa.
Titolo: Voci del verbo andare
Autrice: Jenny Erpenbeck
Anno della prima edizione: 2015
Casa editrice: Sellerio
Pagine: 347
Sul fondo di un lago berlinese giace un cadavere che non è stato ripescato. Sulle sue rive Richard, Professore di Filosofia emerito, cerca di adattarsi alla sua nuova condizione di pensionato. Più al centro della capitale tedesca c'è un gruppo di uomini dalla pelle nera che ha iniziato uno sciopero della fame davanti al Rotes Rathaus. Hanno un cartello con su scritto: "We become visible".
Reduce della sua carriera accademica e legato alla propria forma mentis, Richard decide di colmare la propria ignoranza riguardo il fenomeno dei richiedenti asilo improvvisano una ricerca, basata sul metodo delle storie di vita.
Quando da Oranienplatz gli uomini vengono trasferiti in una casa di riposo dismessa, Richard inizia a far loro visita regolarmente, a conoscere le diverse esperienze che li hanno condotti fino a Berlino dal Niger, dal Ghana, dal Burkina Faso, dalla Libia. Richard crea relazioni, grazie alla capacità che scopre in sé stesso di farsi coinvolgere: insegna a Osarobo a suonare il piano, acquista un terreno in Ghana per la famiglia di Karon. Di ognuno di quegli uomini ascolta le vite, i dolori, i ricordi.
La comprensione di Richard verso il loro spaesamento viene dal profondo di lui, dal suo passato di tedesco bambino durante la Seconda Guerra Mondiale che si proteggeva dai bombardamenti nei rifugi antiaerei, e davanti agli sgomberi dei profughi gli tornano in mente le deportazioni nei lager.
Richard non ha dimenticato neanche il Dopoguerra, e poi gli anni del Muro, la Germania divisa ed il 1990, quando da cittadino dell'Est era diventato semplicemente tedesco ed aveva provato nei viaggi in Occidente lo smarrimento che ora vede negli occhi dei profughi.
Il potere dell'immedesimazione e quello dell'empatia guidano le azioni di Richard, che smaschera con la conoscenza le falsità diffuse dai media (per citarne una sola: non vorrebbero lavorare quegli uomini, a detta di molti; ma è lo stesso Stato a non consentirlo) ed i pregiudizi di alcuni amici che frequenta dai tempi della DDR ed ora non comprendono più le sue scelte. Tra tutte, quella di rianimare la sua casa da tempo vuota ospitando una parte di quegli uomini sopravvissuti, quando le loro richieste di asilo non vengono accolte ed è Richard ad offrire loro un alloggio alternativo dove riprogettare un futuro.
"Voci del verbo andare" è un romanzo ricco ed intenso, un'opera dal linguaggio impeccabile, intriso di cultura classica: alla mitologia ed alla filosofia attinge Richard e vi trova nuovi nomi che rispecchino le storie di vita alle spalle dei profughi, il loro coraggio, le loro sofferenze e personalità.
In quarta di copertina è citato il quotidiano tedesco Die Welt, che racconta questo gioiellino letterario come un'utopia poetica (e lo è, senza ombra di dubbio) e come un antidoto alla "Sottomissione" di Houellebecq. Certamente è di romanzi come "Voci del verbo andare" che la letteratura ha bisogno, per far porre domande e far nascere il desiderio di conoscenza come rimedio all'ignoranza, ai pregiudizi, ai muri.
Di allarmismi ed islamofobia già ne abbiamo abbastanza.
Reduce della sua carriera accademica e legato alla propria forma mentis, Richard decide di colmare la propria ignoranza riguardo il fenomeno dei richiedenti asilo improvvisano una ricerca, basata sul metodo delle storie di vita.
Quando da Oranienplatz gli uomini vengono trasferiti in una casa di riposo dismessa, Richard inizia a far loro visita regolarmente, a conoscere le diverse esperienze che li hanno condotti fino a Berlino dal Niger, dal Ghana, dal Burkina Faso, dalla Libia. Richard crea relazioni, grazie alla capacità che scopre in sé stesso di farsi coinvolgere: insegna a Osarobo a suonare il piano, acquista un terreno in Ghana per la famiglia di Karon. Di ognuno di quegli uomini ascolta le vite, i dolori, i ricordi.
La comprensione di Richard verso il loro spaesamento viene dal profondo di lui, dal suo passato di tedesco bambino durante la Seconda Guerra Mondiale che si proteggeva dai bombardamenti nei rifugi antiaerei, e davanti agli sgomberi dei profughi gli tornano in mente le deportazioni nei lager.
Richard non ha dimenticato neanche il Dopoguerra, e poi gli anni del Muro, la Germania divisa ed il 1990, quando da cittadino dell'Est era diventato semplicemente tedesco ed aveva provato nei viaggi in Occidente lo smarrimento che ora vede negli occhi dei profughi.
Il potere dell'immedesimazione e quello dell'empatia guidano le azioni di Richard, che smaschera con la conoscenza le falsità diffuse dai media (per citarne una sola: non vorrebbero lavorare quegli uomini, a detta di molti; ma è lo stesso Stato a non consentirlo) ed i pregiudizi di alcuni amici che frequenta dai tempi della DDR ed ora non comprendono più le sue scelte. Tra tutte, quella di rianimare la sua casa da tempo vuota ospitando una parte di quegli uomini sopravvissuti, quando le loro richieste di asilo non vengono accolte ed è Richard ad offrire loro un alloggio alternativo dove riprogettare un futuro.
"Voci del verbo andare" è un romanzo ricco ed intenso, un'opera dal linguaggio impeccabile, intriso di cultura classica: alla mitologia ed alla filosofia attinge Richard e vi trova nuovi nomi che rispecchino le storie di vita alle spalle dei profughi, il loro coraggio, le loro sofferenze e personalità.
In quarta di copertina è citato il quotidiano tedesco Die Welt, che racconta questo gioiellino letterario come un'utopia poetica (e lo è, senza ombra di dubbio) e come un antidoto alla "Sottomissione" di Houellebecq. Certamente è di romanzi come "Voci del verbo andare" che la letteratura ha bisogno, per far porre domande e far nascere il desiderio di conoscenza come rimedio all'ignoranza, ai pregiudizi, ai muri.
Di allarmismi ed islamofobia già ne abbiamo abbastanza.
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