lunedì 28 maggio 2018

Abbiamo sempre vissuto nel castello

Già dal titolo questo romanzo ha creato in me un'aspettativa altissima, anche supportata dal fatto che sia un libro di cui si parla molto e quasi sempre in termini entusiasti. Tra gli estimatori dell'orrore e dei romanzi colmi di inquietudine, in grado di spaventare il lettore, il parere è unanime: ed anche io mi trovo d'accordo.


Titolo: Abbiamo sempre vissuto nel castello
Autrice: Shirley Jackson
Anno della prima edizione: 1962
Titolo originale: We Have Always Lived in the Castle
Casa editrice: Adelphi
Traduttrice: Monica Pareschi
Pagine: 182




LA STORIA

Mary Katherine, detta Merricat, e Constance Blackwood sono le uniche superstiti illese di un avvelenamento da arsenico che ha sterminato i loro parenti nell'elegante villa di famiglia. Da quel giorno le sorelle vivono isolate dalla comunità del paese insieme allo zio Julian, la cui salute è stata gravemente danneggiata dalla cena avvelenata alla quale anche lui aveva partecipato. Anche se il sospetto e lo scherno degli abitanti della zona si riversano sulle Blackwood ogni volta che se ne presenta l'occasione, la quotidianità delle ragazze è tranquilla, fatta di piccole cose. Merricat si affida ad un personale pensiero magico che crede possa proteggere lei e la sorella da tutti e da tutti, e che pare funzionare almeno fino al giorno in cui il cugino Charles fa la sua comparsa e sconvolge per sempre l'equilibrio che avvolgeva la casa dei Blackwell. 

Immagine di copertina nell'edizione Penguin Classics


COSA NE PENSO

Questo romanzo è l'ultimo della produzione di Shirley Jackson, autrice inglese  che soffrì di disturbi dell'ansia e fu in grado di trasferirli anche nelle protagoniste dei propri scritti.
Questo titolo incarna perfettamente l'immenso potere del non detto, di ciò che viene sottinteso, di ciò che si sospetta e non si dice. Nonostante i sospetti per quanto riguarda la colpevolezza della morte dei Blackwell si siano infatti sempre concentrati su Constance, alla sera incriminata le sorelle fanno molto raramente riferimento, e quando accade non è certo nei termini che un lettore potrebbe aspettarsi. 
Sin dal folgorante incipit, di un'incisività davvero rara, il romanzo della Jackson cattura ed appassiona:
Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott'anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l'anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l'Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.
Le sorelle Blackwood, raccontate dal narratore interno in prima persona (Mary Katherine), vengono caratterizzate pagina dopo pagina ed emergono nelle loro differenze: mentre Constance, che appare inizialmente la più impaurita, quella che non si allontana mai dalla dimora, all'arrivo di Charles sembra pronta ad un cambiamento nello stile di vita, Mary Katherine si mostra in breve la più legata all'universo esclusivo che condivide con la sorella e l'amato gatto Jonas. 
La comparsa di Charles è senz'altro il punto di svolta del romanzo, che da quel momento in poi racconta un susseguirsi di eventi ricchi di tensione, avvolti da un'atmosfera cupa che non fa presagire nulla di buono -ma che comunque andrà a concludersi in modo sorprendente per il lettore, o almeno per me il finale di questo libro è stato molto diverso da quanto avrei potuto aspettarmi. 
Un moderno romanzo gotico sia per l'ambientazione (una lugubre villa in decadenza, semiabbandonata prima ed addirittura in rovina poi) sia per l'ingombrante presenza della morte che aleggia sui membri della famiglia Blackwell, si tratta senza dubbio di un titolo che non ha perso attualità nel corso degli anni, capace com'è di raccontare una storia nera senza tempo che non può far altro che affascinare i lettori ed incollarli alle pagine. 

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