lunedì 22 luglio 2019

E Baboucar guidava la fila

Giovanni Dozzini si mette alla prova in una sfida piuttosto complicata: mettersi nei panni di un gruppo di richiedenti asilo provenienti da diversi stati dell’Africa (Mali, Gambia, Nigeria) che sono rientrati nel sistema di accoglienza di Perugia.




Titolo: E Baboucar guidava la fila
Autore: Giovanni Dozzini
Anno della prima edizione: 2018
Casa editrice: Minimum Fax
Pagine: 142




LA STORIA
I protagonisti di “E Baboucar guidava la fila” sono Baboucar, appunto, e poi Yaya, Ousman e Robert. Quest’ultimo è il più defilato della compagnia, conosce poche parole di italiano e quasi sempre ha bisogno di una seconda spiegazione in inglese, è l’unico cristiano dei quattro ed è il più giovane, il più fragile, quello che nel sonno viene preso alla sprovvista dagli incubi.
Yaya invece è il più intraprendente; quello che fa da interprete per gli altri, sicuro di sé e della propria padronanza linguistica, sicuro anche della propria avvenenza: facilmente infatti avvicina una donna attratta dal suo corpo giovane e forte, facilmente si concede un’avventura.
Ousman è il più preciso e timoroso dei quattro. La sua richiesta di protezione internazionale è l’unica ad essere stata rifiutata (Robert deve ancora incontrare la commissione, gli altri invece l’hanno ottenuta al primo tentativo) e l’idea di violare qualsiasi regola lo terrorizza, essendo in attesa dell’esito del ricorso.
Di Baboucar sappiamo che apre la fila, quando il gruppo cammina; la sua mente è sempre rivolta a Miriam, ragazza che gli ha rubato il cuore, alla quale manda messaggini e fotografie sperando in una sua risposta che non sempre arriva. È Baboucar che propone al gruppo di andare al mare: ed è questa l’impresa attorno alla quale il racconto di Dozzini si sviluppa.
Nigeriano, gambiano, maliano. Aveva visto gente di ogni tipo e di ogni dove cavarsela molto bene, e altra finire nei guai con estrema facilità. Non c’era una regola, non c’era un senso. Yaya parlava bene, perché la protezione sussidiaria ce l’aveva, e Baboucar lo stesso. Per tutti gli altri era più difficile. Però adesso erano al mare, e questo era un fatto. In qualche modo c’erano riusciti davvero, Perugia era lontana e il mare si trovava a pochi metri da loro […].

COSA NE PENSO

Dozzini si cimenta nella difficile impresa del rappresentare il dopo: quel momento della vita dei migranti in cui sono sopravvissuti al deserto, sono sopravvissuti alle carceri libiche, sono sopravvissuti persino alla traversata del Mediterraneo: e si trovano in un tempo sospeso, ad attendere verdetti inappellabili, a fronteggiare gli sguardi talvolta ostili talvolta curiosi di chi li circonda, a mostrare i documenti ai carabinieri e ai poliziotti che sono gentili solo certe volte. 
Pensò al Gambia lontano, allora, pensò a sua madre, ai suoi fratelli e alle sue sorelle, a suo padre morto in Sudan, pensò a suo zio, ai suoi zii, al compound e alla scuola di polizia. Tutto in una volta. Non devi farlo, si disse. Non devi farlo, Ousman, perché mai dovresti farlo? Erano ricordi da scansare, pensieri da dimenticare. Pensieri inutili, gli aveva detto il dottore, se diventano dolore. Coltiva solo la gioia delle memorie, Ousman, lascia perdere il dolore, e se non saprai lasciar perdere allora versa una lacrima o quelle che servono, e poi ricomincia da zero. 
Quello che ne esce è un romanzo avvincente in cui saliamo sui regionali cercando di sfuggire ai controllori, in cui facciamo il bagno tra le onde salate di un mare non troppo pulito, in cui cerchiamo un bar dove guardare una partita e un posto dove passare la notte. In cui la rabbia non sempre rimane sottopelle, in cui i fantasmi del passato certe volte ci perseguitano e ci portano in un crescendo di tensione a compiere gesti dei quali non andiamo fieri -nei confronti delle stesse persone che chiamiamo amici, gli unici che possono capirci
Si prova anche grande tenerezza in questa storia, a leggere di Robert che abbraccia Yaya mentre dorme, di Ousman che si invaghisce di una cantante folk di una certa età ascoltata in una sagra di paese. Si prova un istintivo affetto per questi ragazzi non ancora adulti, che rischiano di perdere appuntamenti importanti per una giornata di mare, che gioiscono per un cuoricino rosso ricevuto su Whatsapp.
Dozzini li rende umani, li racconta in modo credibile e convincente, ma soprattutto li rende vicini.
In quel momento Robert cominciò a parlare nel sonno. Farfugliò qualcosa di incomprensibile, poi afferrò il braccio di Yaya e gli si accoccolò con la faccia affondata nel bicipite. “Hey”, disse Yaya, e lo abbracciò per tranquillizzarlo. Baboucar gli disse di non svegliarlo, semmai solo di parlargli piano nell’orecchio. Ma Robert era già calmo, stretto addosso a Yaya come fosse un padre, o una madre. 
Certo per giudicare in modo davvero competente quest’opera bisognerebbe essere qualcun altro: uno di loro, di quei ragazzi sopravvissuti a tanto e ora fermi qui, in una sorta di limbo. Credo che però il romanzo di Dozzini abbia un innegabile pregio: quello di far immedesimare il lettore nei panni dei personaggi, di vedere i fatti attraverso il loro punto di vista. Permette di osservare, invece di giudicare; di fare da spettatori e non da arbitri. E in questo la sua narrazione ha senza ombra di dubbio fatto centro.

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