lunedì 16 marzo 2020

La stagione della migrazione a Nord

Conoscete la sensazione di curiosità che si prova, talvolta, senza particolari motivi nei confronti di un libro? Per anni ho girato attorno a questo titolo, iniziando da un'opera minore dell'autore ("Le nozze di Al-Zain", di cui ho scritto qui lo scorso anno) e poi decidendomi finalmente a prenderlo in prestito dalla biblioteca. Quando poi l'ho letto è stata una vera folgorazione




Titolo: La stagione della migrazione a Nord
Autore: Tayeb Salih
Anno della prima edizione: 1967
Titolo originale: Maswim al-Higra ila-s-Samal
Casa editrice: Sellerio
Traduttore: Francesco Leggio
Pagine: 182




LA STORIA


In un villaggio del Sudan sulle rive del Nilo, nella prima metà del Novecento, vive un uomo di cui non sapremo mai il nome. È lui, il narratore, a raccontarci del suo incontro con il misterioso Mustafa Sa’id, che dopo molti anni trascorsi tra l’Egitto e l’Inghilterra ha fatto ritorno al paese natale portando con sé un passato oscuro ricco di segreti.


COSA NE PENSO


Tayeb Salih racconta in questo breve e denso romanzo la migrazione. Racconta il percorso di un ragazzo poco più che bambino che parte per formarsi all’estero, che all’estero diviene uomo e lo diviene a contatto con una cultura “nordica” molto lontana da quella in cui era nato. È all’estero che Mustafa si trasforma in un intellettuale affermato, in un uomo sicuro di sé al cui fascino le donne non sanno resistere; è all’estero che sembra piantare nelle sue amanti un seme oscuro, che le spinge inesorabilmente a disinnamorarsi della vita.
Londra era appena uscita dalla guerra e dalla cappa dell’età vittoriana. Conobbi i pub di Chelsea, i club di Hampstead, i circoli di Bloomsbury, declamavo poesie, parlavo di religione e di filosofia, facevo il critico d’arte, disquisivo sulla spiritualità dell’oriente, facevo di tutto pur di portare la donna nel mio letto. Poi passavo a un’altra caccia. Nel mio cuore non c’era una stilla d’allegria […].




Nel romanzo di Salih scopriamo a poco a poco il complesso passato di Mustafa, che pur non essendo il narratore in prima persona è la figura a cui la storia ruota attorno. È infatti di Mustafa che il lettore vuole sapere di più ad ogni pagina, perché l’autore lascia briciole di indizi da seguire per ricostruire il personaggio, accrescendo la curiosità al punto da rendere impossibile l’interruzione della lettura.
Quanto a me, a volte vengo assalito da quella sensazione che mi prese la notte in cui lo udii, improvvisamente e inaspettatamente, recitare dei versi in inglese, mentre stringeva il bicchiere di vino in mano, con la figura sepolta nella poltrona, le gambe distese, la luce della lampada riflessa sul volto e gli occhi librati, almeno così immaginai, in orizzonti dentro se stesso, mentre il buio fuori intorno a noi era come un insieme di forze diaboliche che s’intrecciavano per soffocare la luce della lampada. A volte mi balena all’improvviso quella fastidiosa idea, che Mustafa Sa’id non sia esistito affatto e che sia stato davvero una menzogna, o uno spettro, o un sogno, o un incubo, che ha assalito la gente di quel villaggio, in una cupa soffocante notte, e che, riaperti gli occhi alla luce, non hanno più visto.



Non tutte le donne ne “La stagione della migrazione a Nord” sono però come le amanti inglesi di Mustafa, irretite dalla sua avvenenza e dai suoi modi esotici, ma sostanzialmente fragili, incapaci di trovare in se stesse le risorse per resistergli -o quantomeno sopravvivere. La più rappresentativa di questa categoria è senz’altro Jean, la donna che ha segnato per sempre il percorso di vita di Mustafa.
L’alternativa esiste, ed è incarnata nel personaggio di Hosna, la moglie sudanese con la quale Mustafa trascorre l’ultimo tranquillo periodo della propria vita. Anche questa donna resta segnata dall’incontro con lui, ma in modo opposto: Hosna, rimasta vedova, avrà seppure a carissimo prezzo il coraggio di ribellarsi, così inaspettato tra le donne del suo paese.


Del narratore non sappiamo molto, ma ne percepiamo lo spaesamento. Come Mustafa ha trascorso anni all’estero, anch’egli si è formato in Inghilterra dove ha conseguito un dottorato in letteratura (lo stesso Salih è emigrato a Londra, dove poi è rimasto fino alla morte, per i suoi studi).
Il mio mondo era largo all’estero, adesso s’è contratto e ritirato, tanto che sono divenuto io il mondo e non c’è mondo all’infuori di me. Dove sono allora le radici piantate nel passato? Dove sono i ricordi della morte e della vita? Che ne è della carovana e della tribù. Dove sono andati a finire gli zagharid di decine di matrimoni, le piene del Nilo, il soffio del vento d’estate e d’inverno da nord e da sud? L’amore? L’amore non fa questo. È il rancore.



Una volta ritornato in Sudan, dove la sua istruzione è ritenuta poco utile in confronto all’ingegneria o alla medicina, si trova in qualche modo diviso: da un lato si confronta con il mondo d’appartenenza di suo nonno, ormai quasi centenario, devoto credente e uomo integerrimo; dall’altro la sua fascinazione per il personaggio di Mustafa, che gli racconta la propria storia e gli lascia la chiave per scoprire ciò che ha scelto di tacergli -dandogli accesso, alla sua morte, ad un archivio di memorie che spiegheranno i fatti, ma non le motivazioni.
Quando lo accompagnai alla porta, congedandosi mi disse, mentre lo spettro beffardo si era fatto ancora più chiaro intorno ai suoi occhi: “Suo nonno conosce il segreto”.
Non mi diede il tempo di chiedergli: “Che segreto dovrebbe conoscere mio nonno? Mio nonno, di segreti, non ne ha” […].

Il romanzo di Salih contiene molta tradizione della letteratura araba: prime tra tutte le novelle de “Le mille e una notte” (lettura a cui mi riprometto di dedicarmi prima o poi), personaggi del Sacro Corano, riferimenti a poeti e condottieri leggendari.
Vi è anche il colonialismo ne “La stagione della migrazione a Nord”: c’è un uomo africano che compie un percorso al contrario, che va in Europa, e qui annienta le donne a cui si accompagna come se fossero popoli vittime del colonizzatore europeo mettendo in pratica una sorta di vendetta.


Questo romanzo di Salih, che ho letto dopo “Le nozze di Al-Zain” (opera d’esordio e senza dubbio minore) mi è piaciuto moltissimo. L’ho trovato avvincente e stratificato, arricchito dalla costruzione di un personaggio complesso ed affascinante come quello di Mustafa; ho inoltre apprezzato moltissimo il linguaggio dell’autore, letterario e poetico senza divenire manieristico. L’unico enorme dispiacere al termine di questa lettura è che il volume sia ormai introvabile, fuori catalogo in ogni libreria e sito di e-commerce che sia riuscita a rintracciare!

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