lunedì 23 marzo 2020

Scrittura cuneiforme

Secondo romanzo dell'autore iraniano Kader Abdolah, "Scrittura cuneiforme" è una delle letture che mi attirano da tempo immemore e che finalmente sono riuscita a portare a termine -complice un utilissimo gruppo di lettura scovato su Instagram.





Titolo: Scrittura cuneiforme
Autore: Kader Abdolah
Anno della prima edizione: 2000
Titolo originale: Spijkerschrift
Casa editrice: Iperborea
Traduttrice: Elisabetta Svaluto Moreolo
Pagine: 318




LA STORIA



I protagonisti di "Scrittura cuneiforme" sono un padre e un figlio, Aga Akbar e Ismail. Aga Akbar è sordomuto, non ha mai imparato a leggere e a scrivere in alfabeto persiano o latino, ma ha lasciato dietro di sé un taccuino in cui ha inciso la storia della propria vita in caratteri cuneiformi, difficilissimi da decifrare.
È questo il compito al quale Ismail si dedica, una volta adulto ed emigrato in Olanda, avendo così l'occasione di ripercorrere l'esistenza del padre e la propria insieme alle vicende che hanno segnato l'Iran nel Ventesimo secolo.
"Scrivo questo libro in primo luogo per lui, e poi per chiarire a me stesso che la mia fuga fu inevitabile, che avvenne per circostanze indipendenti da me, che non avevo più sotto controllo, come posso dire, che fu lui stesso la causa per cui fuggii dal paese. Non so spiegarlo. È perché sono il figlio di Aga Akbar che ora sono qui a lottare con questa nuova lingua."





COSA NE PENSO


Come nel suo primo romanzo, "Il viaggio delle bottiglie vuote" di cui ho scritto qui tempo fa, gli elementi autobiografici non mancano in "Scrittura cuneiforme": Ismail, che spesso narra la vicenda in prima persona (per quanto si alterni ad un narratore onnisciente, ma esterno), è un attivista politico che si oppone all'instaurazione della repubblica islamica in Iran.
Anche Abdolah (che scrive sotto pseudonimo) prese parte alla lotta politica prima di rifugiarsi in Olanda, e riporta la testimonianza di coloro che hanno lottato anche all'interno di quest'opera, in particolare nelle figure di Ismail e della sorella Campanellina. 
Sotto il regime dello scià potevi contare sull’aiuto del popolo, spesso potevi cercare rifugio a casa di sconosciuti. Ma sotto il regime degli ayatollah era diventato impossibile. Lo scià faceva tutto in nome di se stesso, ma gli ayatollah governavano in nome di Dio.
C'è l'Olanda dunque a fare da sfondo alla vita di Ismail dopo aver lasciato l'Iran: un'Olanda a cui Abdolah si è profondamente legato, al punto da scrivere proprio in olandese i propri libri, impresa tutt'altro che semplice o frequente (un'altra autrice che ha scelto di farlo è l'albanese Elvira Dones, che ha scelto l'italiano per la propria produzione letteraria). Non solo però la scelta linguistica fa comprendere quanto l'Olanda abbia un ruolo fondamentale nella scrittura di Abdolah: la poesia olandese che cita in "Scrittura cuneiforme" si mescola ai racconti dell'antica Persia, alle figure mitiche dei santi sul fondo dei pozzi, i polder si confondono con le montagne innevate. 


"Scrittura cuneiforme" è un romanzo di rara delicatezza. Aga Akbar, figura a cui tutto ruota attorno, è un uomo indimenticabile: tessitore di tappeti che comunica in una propria lingua dei segni comprensibile quasi soltanto ai suoi figli, un uomo dunque -per forza- di poche parole, difficile da interpretare quanto i caratteri incisi sul suo taccuino. 
"Fare il riparatore di tappeti, ragazzo mio, era il mestiere migliore per lui. Ci sono sempre tappeti rovinati che hanno bisogno di riparazioni. Poteva andare ovunque. In quel modo si guadagnava da vivere e aveva la possibilità di annodare, tingere, pulire e disegnare tappeti come un artista. Puoi metterci i tuoi pensieri in un tappeto. Tuo padre era un poeta analfabeta e sordomuto. Te l’ho già detto tempo fa. Doveva dar sfogo in qualche modo ai suoi pensieri, nel suo quaderno o nel buco di un tappeto.“ 
Il rapporto tra padri e figli è uno dei temi cardine di "Scrittura Cuneiforme": Ismail è legato a suo padre in modo indissolubile, ma neanche lui è in grado di capirlo veramente, molte sono le domande che gli restano in sospeso. E se dapprima sembra Aga Akbar ad essere dipendente da Ismail, per orientarsi nel mondo, con il passare del tempo è lo stesso Ismail a cercare forza nel proprio padre, a lasciarsi aiutare da lui.
Tra poco sarebbe sorto il sole sul venerdì e mio padre, per la prima volta, avrebbe mancato la preghiera alla moschea. “Non vai alla moschea?” gli chiesi. “No”, gesticolò lui. Adesso mi era chiaro che sapeva cosa significasse andare via.
La comunicazione -e l'incomunicabilità- sono gli altri nodi a cui Aga Akbar e Ismail girano attorno, come i fili che le dita intrecciano per tessere tappeti: Aga Akbar non può parlare, si fa capire con le mani o attraverso Ismail, solo i suoi figli comprendono appieno il suo linguaggio. Ismail ha il dono della parola, può esprimersi, scrivere, stampare addirittura le parole che condannano il regime: eppure c'è la dittatura a imbavagliarlo, ci sono gli arresti e le sparizioni, c'è la fuga e anche durante il viaggio la comunicazione gli è preclusa, perché potrebbero intercettarlo. 
Non basta quindi l'uso della voce per comunicare, da un lato, e dall'altro non è necessario saper scrivere per lasciare dietro di sé memoria della propria vita: anche copiare i caratteri cuneiformi dal fondo di una caverna e utilizzarli per scriverci la propria versione dei fatti è possibile, ed è questa la strada che Aga Akbar -uomo che definirei profondamente puro- sceglie di percorrere.
Isfahan gli aveva fatto una grande impressione. In seguito non faceva che parlarne. Se gli capitava di vedere un tappeto di Isfahan, diceva: “Guarda, questo viene da Isfahan. Tu ci sei mai stato?” E parlava delle moschee. E quando descriveva le piastrelle azzurre della moschea di Sheikh-Lotfollah* indicava il cielo. Un tempio che è una sfida a quello dell’universo. E se voleva esprimere la sua ammirazione per l’antichissima moschea di Jamé, prendeva un mattone, lo sollevava e poi lo lasciava cadere per terra. Con quel gesto intendeva dire che le pietre della moschea erano cadute dal cielo. Quando parlava del bazar, si copriva la bocca con la mano e si guardava attorno stupito: intendeva dire che a volte, lì, si vedevano tappeti magici e che uno restava a bocca aperta dallo stupore.


Kader Abdolah è un grande scrittore, e lo è ancora di più pensando che quella in cui scrive non è la sua lingua madre, ma una lingua d'adozione. Abdolah costruisce nell'Aga Akbar "Scrittura cuneiforme" un personaggio intenso, profondo, che racchiude un universo intero -e lo fa molto meglio di quanto non ci fosse riuscito con il disorientato Bolfazl de "Il viaggio delle bottiglie vuote". 
"Scrittura cuneiforme" è un romanzo poetico, che racconta i rapporti umani e la resistenza e li mescola alla meraviglia, che descrive il dolore ma lo fa con una delicatezza tale da lasciare il lettore in qualche modo intatto. È un romanzo che mi ha spezzato il cuore, e lo ha fatto lasciando una traccia profondissima dietro di sé. 
Non posso fare quindi altro che consigliarvene la lettura, e proseguire io stessa nella scoperta di questo autore che -ne sono sicura- saprà riservarmi altre belle sorprese! 

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