lunedì 18 maggio 2020

La vita gioca con me

Grossman è stato, e non esagero, l’autore che ho amato più intensamente. È l’autore che sa scrivere dei sentimenti nello stesso modo in cui li provo, che sa dare voce alle emozioni che un attimo prima non mi rendo conto di aver avvertito. Ho amato Grossman dal primo libro che ho letto, “Qualcuno con cui correre”, e non ho mai smesso; tuttavia mi sono presa una lunga pausa dall’ultima, spettacolare lettura (“A un cerbiatto somiglia il mio amore”) e questa, perché temevo una delusione, temevo di non apprezzare più il suo stile quanto in passato.
Così questo romanzo è stata molto più di una semplice lettura: è stata un ritorno a casa, una riscoperta, è stata pagine sfogliate con il cuore in gola.



Titolo: La vita gioca con me
Autore: David Grossman
Anno della prima edizione: 2019
Titolo originale: Iti hachaiim mesachek harbe
Casa editrice: Mondadori
Traduttrice: Alessandra Shomroni
Pagine: 293



LA STORIA

Vera compie novant’anni in Israele e attorno a lei c’è l’immensa famiglia del kibbutz, ci sono i parenti venuti apposta dall’estero, ci sono il figlio Rafi e la nipote Ghili, ma soprattutto c’è Nina, sua figlia, arrivata da molto lontano. 
E Nina porta con sé una rivelazione, e una richiesta: quella di conoscere finalmente la verità su se stessa, sul passato ingombrante di Vera, su ciò che le è capitato nell’infanzia e che da adulta non è mai stata capace di superare. E così il video sul quale vuole imprimere l’intera storia diventa il pretesto per un’avventura di famiglia… 
“Tua madre non ti ha abbandonata.” Rafael ha recitato la sua parte. “Anche lei è stata data in pasto ai cani. È stata buttata in un campo di prigionia, condannata ai lavori forzati. Non aveva scelta.” “Vai a spiegarlo a una bambina di sei anni e mezzo” ha ribattuto Nina, interpretando il proprio ruolo. “Non hai più sei anni e mezzo” ha obiettato Rafael. “E invece sì” ha sentenziato lei.

Eva Panic Nahir con il marito e la figlia (1946)

COSA NE PENSO

Per raccontare “La vita gioca con me” è necessario premettere che la figura di Vera si ispira a quella di Eva Panic Nahir, una donna jugoslava che era stata internata sull’isola di Goli Otok, campo di rieducazione voluto dal maresciallo Tito. David Grossman e Eva sono stati amici ed è stata proprio lei ad incaricarlo di trasformare in romanzo la storia della sua vita e dare voce a quella di sua figlia Tiana. Ispirandosi alle loro esperienze, da Eva è nata Vera, e da Tiana Nina.

“La vita gioca con me” è un romanzo familiare, più di tutto. È un romanzo di madri e di figlie, di un amore che non è mai stato compreso né espresso come avrebbe dovuto. 
“La vita gioca con me” è un romanzo di donne, perché i personaggi maschili sono un contorno, un supporto alle vicende delle protagoniste femminili: Rafi, devoto, solido ma dipendente; Meir, lontano, forse prossimo ad uscire di scena; Miloš, che ha avuto un’importanza cruciale ma è morto a poco più di trent’anni. 
Io dovevo farlo per far sapere a tutti che c’è stato Miloš a questo mondo, uomo come lui, magro, malato, non tanto forte fisicamente, ma eroe e idealista in anima, e persona più pura e profonda, e mio amico e mio amore...
Il fulcro del romanzo intero è Vera: una novantenne che non ha perso l’energia della giovinezza, né la forza morale che l’ha sempre contraddistinta. Vera è rimasta se stessa negli anni, sempre fedele a ciò che è stata e all’amore per Miloš, quel giovane colonnello serbo che le rubò il cuore al ballo del liceo e la sposò incurante del fatto che fosse ebrea, quell’uomo integerrimo e coraggioso che non ha mai tradito né smesso di amare, anche dopo sessant’anni. 
Nina, sua figlia, è una donna molto diversa: una donna spezzata, che non ha mai smesso di sentirsi la bambina perduta e ferita che è stata, della quale non ha mai rimesso insieme i pezzi. Così come è stata una figlia smarrita è stata una madre distante per Ghili, che non ne ha mai compreso l’amore, che non le ha mai perdonato le distanze. 
La legge non scritta delle loro torture reciproche stabiliva che l’assioma dell’amore assoluto e caparbio di mio padre fosse tra le poche cose stabili della vita di Nina, e benché lo avesse respinto, lei aveva molto bisogno di quell’amore.
È Ghili la voce narrante di “La vita gioca con me”, e Ghili è una ragazza fragile, intenta al prendere le distanze dalla propria madre quanto più possibile, al difendere a tutti i costi la nonna Vera che si è presa cura di lei al punto di averle salvato la vita: ma non esistono persone senza colpe, sembra dirci Grossman nel suo coraggioso ritratto di Vera.  
«Ti hanno permesso di spiegare, di difenderti? Avevi un avvocato?» «Avvocato? Sei impazzita? Hanno buttato cinquantamila prigionieri in campi di concentramento di Tito come cani, senza processo. Solo qui, a Goli, sono morti forse in cinquemila, ammazzati o suicidati. E tu parli di avvocato?»

Non solo di famiglie, di passato e di traumi racconta Grossman ne “La vita gioca con me”: il suo è un romanzo che racconta anche la guerra in Jugoslavia, i gulag di Tito, e racconta una delle storie d’amore più intense che abbia mai incontrato. 
Dopo ora forse da quando eravamo partiti, mia suocera dice: “Di cosa sei fatta, Vera, di ferro o di pietra?”. E io, in cuor mio, ho pensato, di amore per Miloš. E non abbiamo più detto niente finché non siamo arrivati e lo abbiamo messo in terra di suo villaggio. Dovevo farlo. Non potevo lasciarlo sotto numero. E sapevo anche che nessuno lo tirava fuori da lì tranne me.
“La vita gioca con me” si svolge principalmente nel presente, ad eccezione di alcuni passaggi in cui si dà voce al passato di Vera a Goli Otok, e lo si fa in terza persona, come osservando dall’esterno le sofferenze a cui è sottoposta -non che questo le renda meno toccanti. Goli Otok la vediamo dunque nel passato, ma anche nel presente, attraverso il viaggio in Croazia, nei luoghi dove Vera è cresciuta, ha amato, ha vissuto prima dell’emigrazione in Israele. 
Israele resta invece in disparte, come l’ebraismo che ha un ruolo assai limitato:  si fa riferimento alla deportazione ad Auschwitz dei genitori di Vera, sorte che non è toccata però a lei e alle sue sorelle; la religione non ha importanza per lei, che è socialista, e neanche Nina o Ghili si sentono ebree se non per la lingua che parlano -mentre l’ebraico di Vera è rimasto imperfetto, contaminato dall’ungherese anche dopo più di mezzo secolo.
Tuo padre aveva motto: “Ognuno ha unico turno per giocare”. E così ha vissuto. Tante volte è stato in pericolo, in guerra. Anche vita era guerra, tutto seguiva logica di guerra. Così lui, inconsciamente, sapeva che doveva preparare sua figlia. Programmava tutto, anche che forse doveva suicidarsi prima o poi, da un momento all’altro. Vivevamo su filo di rasoio. […] Con me vita gioca tanto’ dice Vera sottovoce, come a se stessa.
I romanzi di Grossman sono densi: colmi di sentimenti, di dolori, di umanità. Non è stata una sorpresa per me, bensì una conferma: dopo aver amato profondamente i suoi romanzi passati è stato magnifico ritrovare la stessa penna, la stessa capacità di dare voce ad un personaggio femminile assolutamente credibile, di tirare i fili dei suoi personaggi in modo che si sfiorino senza annodarsi. 
È difficile trovare le parole per consigliarvi questo libro quanto vorrei: sappiate che saprà rubarvi il cuore, emozionarvi, farvi soffrire con Vera, con Nina, con Ghili e con Rafael al punto che vi sembrerà di conoscerli e che probabilmente sarà anche l’occasione per imparare qualcosa su un conflitto di cui non si parla molto spesso. Spero che siano ragioni sufficienti per farvi correre a procurarvelo! 

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