lunedì 1 marzo 2021

L'estate che sciolse ogni cosa

Ci sono romanzi che ti chiamano dagli scaffali delle librerie anche quando hai fatto un patto con te stesso e vorresti impegnarti ad acquistare di meno e soprattutto ad evitare i libri non usati. Mi è capitato con questo romanzo e devo dirvelo: non me ne sono pentita neanche per un attimo! 


Titolo: L'estate che sciolse ogni cosa
Autrice: Tiffany McDaniel
Anno della prima edizione: 2016
Titolo originale: The Summer That Melted Everything
Casa editrice: Atlantide
Traduttrice: Lucia Olivieri
Pagine: 379


LA STORIA

In una cittadina dell’Ohio, nell'estate del 1984, un avvocato scrive un annuncio sul giornale tramite il quale invita il diavolo. Lo fa per espiare un errore commesso nel proprio lavoro, sperando di potersi confrontare con le forze del male; all’annuncio però risponde Sal, un ragazzino afroamericano di appena 13 anni. Sal ha grandi occhi verdi, indossa una salopette logora; giura di essere il diavolo, ma sembra soltanto un bambino smarrito. Il suo arrivo però innesca nella comunità una reazione ostile e razzista, dalle conseguenze a dir poco imprevedibili...

La mitezza del passato era stata sostituita da un presente cocente. La temperatura perfetta, soltanto un ricordo. La brezza, scomparsa. Al loro posto un caldo tanto violento da trasformare le ossa in vulcani e il sangue in lava che sgorga dalle loro eruzioni. La gente avrebbe spesso parlato di quell’arrivo improvviso della calura. Era la prova più certa della comparsa del diavolo.

COSA NE PENSO

Nel romanzo di Tiffany McDaniel ci sono personaggi indimenticabili. Il primo è sicuramente Sal, che del diavolo ha ben poco: quello che Sal si porta dietro sono cicatrici sulla pelle, ingombranti ricordi e la sensazione che dovunque lui si sposti lo segua una prepotente sfortuna, che manda in pezzi tutto ciò che lo circonda. In effetti questa sfortuna è difficile da mettere in dubbio, perché ogni persona alla quale Sal si avvicina o si affeziona sembra venire colpita da eventi tragici ed inevitabili non appena entra contatto con lui. Sembra davvero, tra le pagine, che una forza malevola accompagni Sal portandolo a distruggere tutto ciò che tocca: e il lettore vorrebbe soltanto poter incollare insieme i cocci, uno a uno, e difendere quel ragazzino che continua a ripetere di essere il diavolo. 

Sai, Fielding, il fatto è che quando si rompe qualcosa di cui nessuno si cura troppo, si creano delle ombre che prima non c’erano. La ciotola, prima, aveva un’ombra. Una sola. Adesso ogni coccio ha la sua. Dio mio, quante ombre sono state create. Piccoli lembi d’oscurità che d’improvviso, insieme, sembrano più grandi di quanto non fosse la ciotola. È questo il guaio delle cose in pezzi. La luce muore e si fa sempre più tenue e le ombre… quelle vincono sempre, alla fine.

Ci sono poi i figli dell’uomo che ha invitato Sal, il cui secondogenito Fielding è il narratore di questa storia. Fielding la racconta molti anni dopo gli anni '80, quando ormai è un uomo anziano che porta però con sé le conseguenze di quella terribile estate che non è mai riuscito a superare. Fielding è infatti un uomo solo, un uomo che non si fida di nessuno e che ogni volta che ha veramente amato ha finito poi per abbandonare l'oggetto dei suoi sentimenti, prigioniero com'è di sensi di colpa che lo affliggono da quando era soltanto un ragazzino, proprio come Sal. Per oltre settant'anni Fielding si è proibito la felicità, ne è fuggito, l'ha respinta ogni volta in cui l'ha avuto a portata di mano: perché è sempre stato certo di non poterla meritare.

A volte cerco di buttare lì qualche tentativo di scuse. Compro una confezione di palle da baseball. Bianche. Con le cuciture rosse. Prendo un pennarello e ci scrivo sopra, in rosso, Mi dispiace. E poi le lancio. Dove capita. In un vicolo. Lungo il ciglio della strada. Ne ho gettate tante: in mezzo a un campo, in un parco, nel cortile di una casa. Le lancio. E poi aspetto. Aspetto che compaia un dio diciottenne a raccogliere la palla e che mi dica, riportandomela: “D’accordo. Ti perdono, ometto”. 

"L’estate che sciolse ogni cosa" è un romanzo che fa soffrire moltissimo: lo fa dalle prime pagine, in cui già ci rendiamo conto che la catastrofe è dietro l’angolo. Lo fa quando ci racconta l'affetto tra fratelli, e quando ci descrive com'è facile mandarlo in pezzi; lo fa quando ci commuove con una magnifica storia d'amore, pura e innocente, e mentre leggiamo sappiamo che qualcosa andrà storto. Continua a farci male, l'autrice, ogni volta che ai personaggi a cui ci siamo affezionati capita qualcosa di tremendo -e di avvenimenti tremendi in questo romanzo ce ne sono davvero molti. 

Lui le lasciava una poesia appesa alla quercia. Non le scriveva lui, quelle poesie. Erano di Shakespeare, Keats, Whitman, i grandi poeti, le solite, vecchie lusinghe di tutti gli innamorati del mondo. Si nascondeva dietro un albero e la guardava staccare la poesia dal chiodo. Mordendosi il labbro, Dresden tirava i ricci dietro un orecchio lentigginoso e leggeva, a volte tanto a lungo che mi veniva da pensare che le avesse dedicato un intero romanzo. Immagino che leggesse e rileggesse i versi in cerca delle parti che erano meno Shakespeare e più Sal.

La scrittura di Tiffany McDaniel è ipnotica, coinvolgente sin dalle prime righe del suo romanzo -credereste mai che si tratta di un esordio? Le sue parole trasportano il lettore in una cocente estate nell’Ohio, e poi nella roulotte dove Fielding invecchia, insieme alla propria solitudine. Una volta richiuso il libro, le frasi che più ci hanno colpito rimangono nella mente e ci fanno riflettere sugli argomenti che "L'estate che sciolse ogni cosa" riesce a toccare: dal razzismo, il più meschino e crudele impersonato da un vendicativo vicino che sfoga il proprio risentimento per ciò che gli è capitato su tutti gli innocenti che gli ricordino quelle episodio (Sal per primo), fino alla violenza domestica, ai traumi del passato e all'omofobia

Fu bello. Tutte quelle foglie. Tutta quella luce. Il sorriso sul viso di lei. Il sollievo di lui di essere ancora amato. Di non averle ancora strappato l’amore a pugni.

Attraverso il personaggio di Fielding che, vittima di un’educazione religiosa figlia della sua epoca, non è in grado di comprendere il fratello quando ne avrebbe tanto bisogno, l'autrice sembra dirci che sono i rifiuti da parte delle persone che ci circondano ad avere le più nefaste conseguenze. È quando veniamo allontanati, quando veniamo aggrediti, accusati, rifiutati da coloro che dovrebbero accoglierci, che non è più possibile alcuna salvezza.

Non ero destinato a essere un uomo violento. Ero destinato a ereditare il carattere di mio padre. E di mia madre. Invece alla fine ricevetti in eredità il carattere di quella estate. Quell’estate divenne mio padre. E mia madre. L’origine della mia violenza.

In effetti non c'è salvezza in questo romanzo, nonostante io ci abbia sperato più volte, da grande amante del lieto fine quale sono; non ci sono in questo libro né salvezza, né perdono e in fondo nemmeno speranza. Questo potrebbe sembrare un deterrente alla lettura, ma in la crudele comunità che Tiffany McDaniel ci mette davanti è talmente vera e talmente ben descritta che io la ritengo assolutamente imperdibile -anche se questo non è un libro che può essere letto a cuore leggero, aspettandosi una storia ristoratrice. Sappiate comunque che vi troverete davanti a dei passaggi incredibilmente poetici, a episodi incredibilmente struggenti che faranno malissimo alla vostra anima, ma al tempo stesso vi faranno percepire, una volta giunti all'ultima pagina, di aver appena terminato un capolavoro.

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