mercoledì 3 marzo 2021

Hotel Silence

Di letteratura islandese ho letto molto poco: due romanzi di Stefansson (di uno ho scritto già qui) e un classico di Natale di cui mi sono innamorata, "Il pastore d'Islanda". Ho deciso di proseguire con questa autrice molto apprezzata in patria che mi è stata consigliata da mia madre.


Titolo: Hotel Silence
Autrice: Audur Ava Olafsdottir
Anno della prima edizione: 2016
Titolo originale: Or
Casa editrice: Einaudi
Traduttore: Stefano Rosatti
Pagine: 189


LA STORIA

Jonas è un uomo di mezza età profondamente insoddisfatto della propria vita: sua madre sta perdendo la memoria ed è ricoverata in una struttura, sua moglie lo ha lasciato e quella che per 26 anni ha creduto essere sua figlia si scopre essere in realtà biologicamente nata da un altro uomo. Questo fa prendere in considerazione a Jonas l’idea del suicidio, che però sceglie di non commettere in patria per non essere ritrovato proprio da sua figlia e non farla soffrire. Così intraprende un viaggio per un paese non identificato, dove è appena terminata una guerra; qui alloggia all’Hotel Silence del titolo e la sua strada incrocia quella di due fratelli sopravvissuti al conflitto armato, che gli faranno riconsiderare la decisione che aveva preso.

COSA NE PENSO

Il titolo originale di "Hotel Silence" significa in realtà "Cicatrici": le cicatrici Jonas le porta sul corpo (e ne non sappiamo il perché) e certamente le ha anche nell'anima. Le cicatrici lo accomunano al suo vicino Svanur, anche lui alle prese con la sua solitudine, a Maì e Fìfì, i due fratelli che gestiscono l'albergo e ad Adam, figlio di lei, che ha cinque anni e disegna solo col nero e col rosso, perché è nato all'inizio della guerra e ha conosciuto solo il sangue e le macerie.

-Mamma, si sente dire dal tavolo. Per rendere perfetta l’opera aggiunge vari segmenti più corti, come raggi che fuoriescono dalle righe orizzontali, conta cinque dita per ciascuna mano, mettendoci molta attenzione. Ha unito insieme le due persone, si danno la mano. Ha creato due persone, un piccolo uomo e una grande sonna e le ha collocate sotto un sole verde. È il primo giorno del mondo. E vede quanto ha appena fatto, ed è cosa molto buona.

"Hotel Silence" è un romanzo sulle seconde possibilità, in cui un uomo profondamente infelice cerca di dare un senso alla propria esistenza e riesce a ritrovarlo nell’impegno per gli altri. Jonas infatti è un uomo molto pratico, abile nelle riparazioni, nei lavori di edilizia, idraulica ed elettricità, così in un paese distrutto dalla guerra, dove gli uomini sono morti o mutilati, le sue competenze si rivelano estremamente utili. Questo nuovo modo di trascorrere la sua esistenza, che in Islanda era divenuta vuota, fa mettere a Jonas in secondo piano il proprio proposito di porre fine alla sua vita. Lo stesso fanno le parole di Maì, che attraverso i suoi racconti di sopravvissuta e le sue narrazioni della violenza a cui lei, il fratello e il figlio hanno assistito fa ridimensionare a Jonas quelle che riteneva sofferenze insopportabili fino a quel momento.

La mia infelicità nel migliore dei casi è un’idiozia, quando rovine e polvere si aprono davanti agli occhi fuori dalla finestra.

L’autrice racconta un paese distrutto dalle bombe, colpito dal flagello delle mine antiuomo che continuano a mietere vittime, un paese dove tutte le donne hanno subìto violenza e di uomini ne sono rimasti ben pochi. Non si dice di quale paese si tratta, sappiamo che c’è il mare, un mare calmo diverso dall'oceano islandese; sappiamo che c’è una foresta, e che nel paese si trovano numerose opere d’arte di interesse internazionale, specialmente mosaici. Potrebbe essere la Siria, potrebbe essere il Libano, potrebbe essere un paese dell’area balcanica; in base ai miei riferimenti mi sono ritrovata spesso ad immaginarlo come una zona dell’ex Jugoslavia, ma in realtà potrebbe essere dappertutto, e la sua universalità rende ancora più importante il fatto di dare voce ad una situazione estremamente diffusa nel mondo

Il tassista aveva detto la stessa cosa, «stiamo aspettando la pioggia», togliendo la mano dal volante per cambiare marcia e facendo finire la macchina sulla corsia opposta. «E quando pioverà, – aveva continuato, – il livello del fiume si alzerà di sei metri buoni e inonderà i campi che nascondono i cadaveri, e gli scheletri in divisa affioreranno dai laghi senza fondo. Allora potremo finalmente seppellire i morti».

Proprio i passaggi dedicati al ricordo della guerra appena terminata sono quelli che nel romanzo mi sono più rimasti impressi, anche se altrettanto mi sono piaciuti i diari di Jonas che lo accompagnano nel viaggio e dai quali sono tratte le citazioni che accompagnano il racconto. Il libro è narrato in prima persona proprio da Jonas ed è narrato al presente, scelta piuttosto originale che ci fa sentire accanto al protagonista man mano che gli eventi si verificano. Al fianco di Jonas il lettore ritrova il senso dell’esistenza e per questo "Hotel Silence" è un romanzo sulla rinascita, un romanzo sul significato della vita che è possibile trovare anche quando lo si crede perso. È un romanzo anche di grande gentilezza, per via della voce di Jonas che rimane nonostante tutto sempre aperta a ciò che il destino gli propone.

Lo sapevi – dice – che in certi posti le cicatrici sono simbolo di valore? Se ne porti una notevole, sconvolgente, vuol dire che hai guardato la bestia dritto negli occhi, senza farti sopraffare dalla paura. E sei sopravvissuto.

L’unica perplessità nei confronti di questa lettura riguarda le ultime due pagine, il vero e proprio finale che avrei semplicemente voluto diverso. Ritorna in campo infatti Svanur, il vicino che avevamo conosciuto accanto a Jonas nella prima parte del romanzo, al quale non si pensava da allora.

Se gli dicessi: «Svanur, nominami una sola ragione per cui continuare a esistere. Te ne chiedo una, ma tu puoi darmene anche due». E come spiegazione gli dicessi: «Io sono perso». Ecco, cosa mi direbbe: «Io lo capisco, quello che vuoi dire, neanch’io so chi sono». E mi abbraccerebbe qui sulla soglia della porta d’entrata, metà dentro metà fuori, con questo suo corpo da un quintale incastonato in una cornice rettangolare, con la maglietta a maniche corte infilata dentro i pantaloni sul dietro e spenzolante sul davanti.

Mentre Jonas riscopre il senso della propria vita, a Svanur viene riservata una fine tutt’altro che lieta, elemento che ho trovato non necessario. Il finale rimane quasi aperto; ho letto in una recensione su Internet di alcuni lettori che sperano in un seguito a questa storia, anche se io non credo che sia probabile. Devo ammettere che questa conclusione non mi ha completamente soddisfatta, tuttavia non ha inficiato il mio parere assolutamente positivo sul romanzo: una storia che ho sentito farmi bene, essere una di quelle storie che scaldano il cuore e che ci ricordano che, anche quando abbiamo già smesso di crederci, c’è sempre un’altra possibilità che ci aspetta. Ho anche apprezzato molto la scrittura dell’autrice, di cui sono già state tradotte in italiano diverse opere: credo quindi che in futuro ne leggerò altre! Nel frattempo "Hotel Silence" è stato di certo un ottimo libro dal quale cominciare.

Nessun commento:

Posta un commento