giovedì 20 settembre 2018

Ausmerzen

Da anni sono incuriosita dallo spettacolo di Marco Paolini intitolato "Ausmerzen" che tratta del progetto Aktion T4, ossia dello sterminio dei disabili fisici e mentali che venivano considerati "mangiatori inutili", "vite indegne di essere vissute" dagli esponenti del partito nazista. Una volta scoperto che a partire da tale spettacolo è stato poi scritto un libro, non ho esitato a leggerlo.




Titolo: Ausmerzen
Autore: Marco Paolini
Anno della prima edizione: 2012
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 176




LA STORIA


Il saggio di Paolini ricostruisce la storia del progetto Aktion T4, ispirato dalle teorie dell'eugenetica di fine '800: da Lombroso che pensava di poter identificare criminali o affetti da ritardo mentale a partire dai tratti somatici, a Graham Bell (sì, l'inventore del telefono) che progettava la sterilizzazione dei non udenti.
Tali teorie trovarono terreno fertile nell'ideologia nazista, desiderosa di espandere la pura razza ariana (basti pensare al progetto Lebensborn -raccontato in forma romanzata da Sarah Cohen-Scali nella sua opera "Max") ed estirparne ogni contaminazione da parte di popoli ed etnie considerati inferiori. Prima dell'Aktion T4 infatti ci furono le sterilizzazioni di massa; nel 1939 poi si passò allo sterminio vero e proprio, che tra morti per fame ed iniezioni letali mise fine nel giro di soli due anni alla vita di 70'273 persone. 
Tuttavia non finì affatto così: dalle cosiddette "case di cura" che con la cenere dei forni crematori e il numero dei necrologi cominciavano ad attirare troppa attenzione, lo scopo del progetto Aktion T4 continuò ad essere perseguito nei campi di sterminio.

Marco Paolini in una scena dello 

COSA NE PENSO


Ero davvero molto interessata al tema del libro di Paolini, nei confronti del quale nutrivo alte aspettative: quando infatti mi sento ignorante nei riguardi di un tema, non vedo l'ora di poter scoprire di più e colmare le mie lacune
Ricordare è oggi un gesto di educazione, una sfida personale alla dittatura del presente che ci fa tutti informati e distratti, condannati a oblio repentino. Ricordare ci fa più solidi in un mondo liquido. Ricordatevi di Grafeneck, la prima a cominciare, novemilaottocentotrentanove vite trattate. Ricordatevi di Brandenburg, la prigione, novemilasettecentosettantadue vite trattate. Ricordatevi di Hartheim, diciottomiladuecentosessantanove vite trattate. Ricordatevi di Sonnenstein, tredicimilasettecentoventi vite trattate. Ricordatevi di Bernburg, ottomilaseicentouno vite trattate. Ricordatevi di Hadamar, diecimilasettantadue vite trattate. Trattate male. Nessuna morte pietosa, molta paura, molto inganno. 

Non posso affermare che questo testo non sia interessante, che non mi abbia fornito spunti di riflessione e numerosi dati dei quali non ero a conoscenza; tuttavia la sensazione generale che ne ho ricavato è che all'opera di Paolini manchi l'anima. Ciò che ci racconta prende la forma di brevi capitoli, di elenchi di avvenimenti e di nomi, colmi di atrocità e di dramma che però non riescono davvero a colpire in profondità. Paolini cita spesso Primo Levi, in particolare il suo celeberrimo "Se questo è un uomo", ma neanche lontanamente ne raggiunge la capacità di narratore.
Molto probabilmente il problema nasce dal fatto che Paolini lavori principalmente per il teatro: la sua forza espressiva sul palcoscenico avrà di certo dato vita ad uno spettacolo memorabile su questi temi (non ho ancora abbandonato del tutto l'idea di vederlo), mentre invece questa magia non è avvenuta sulla carta. 
Degni di nota sono gli sforzi di Paolini per far riflettere su quanto la Storia non sia mai davvero passata, su quanto sia necessario far caso alle atrocità del presente per non ripetere quelle già commesse. Anche qui, tuttavia, non arriva in profondità.
Non è archeologia, questa. Non è archeologia se ogni giorno rischi di inciampare in una frase razzista o in un abuso o in un maltrattamento che poi giustifichi con un parametro. Perché il vecchio è legato al letto? Non c'è personale, certo, e quindi a malincuore lo devi legare. Perché li teniamo un anno in un centro di accoglienza come in un lager? Cosa facciamo? Sono troppi, non ci servono, sono diventate bocche inutili da sfamare, non ce la facciamo. Sono parametri. I parametri non sono chiari, non li abbiamo scelti, ma nel momento in cui cominciamo a lasciarli passare, noi come bravi cittadini di Hadamar vediamo fumo ogni tanto, ma ci stiamo abituando.

Consiglio in conclusione questa lettura soltanto come opera di saggistica a coloro che vogliano approfondire l'argomento, suggerendovi però di non avvicinarvi ad esso aspettandosi grandi emozioni: io infatti ne sono rimasta del tutto distaccata per l'intera lettura, che nel complesso mi ha parecchio delusa. 

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